Mara Paladini vive in un appartamento a Milano dove ha deciso di auto-recludersi per evitare di fare ancora del male a qualcuno. Esce solo di notte, sporadicamente, per fare la spesa in un minimarket aperto ventiquattro ore su ventiquattro, e scambia giusto poche parole, convenevoli, senza comunque farsi vedere, con il premuroso fattorino di origini indiane che le consegna gli acquisti online.
In questo appartamento ha costruito la sua torre d’avorio, centinaia di scatoloni bianchi di cui ha scelto le misure in modo da poterli impilare e incuneare al millimetro lasciandole il minino spazio di movimento, una prigione di cartone in cui ha seppellito il suo passato. Un passato in cui lei si chiamava Mariele Pirovano, la donna che tredici anni prima ha rischiato di uccidere la famiglia con una dose di veleno, la digitossina, che ha sbagliato a quantificare. Sì, perché Mariele, il marito e i due figli, li avvelenava da tempo, lentamente, meticolosamente, ma mai in modo letale. Almeno fino a quando la situazione non le è sfuggita di mano.
Affetta dalla sindrome di Münchhausen per procura, una patologia che porta a far ammalare le persone che si amano per poi curarle e prendersi il merito della loro guarigione, Mariele ha scontato otto anni in una struttura psichiatrica di detenzione prima di diventare Mara e tentare di scomparire nel nulla della sua torre.
Ed è questa la donna che conosciamo all’inizio del nuovo romanzo di Paola Barbato, “La torre d’avorio”, pubblicato da Neri Pozza, un thriller perfettamente orchestrato, che parte ovattato, claustrofobico, per poi aprirsi in un labirintico susseguirsi di luoghi, scene e personaggi, dove nulla è come sembra e nessuno è fino in fondo chi dice di essere.
Quando infatti Mara scopre il cadavere del suo vicino di casa, che non conosce, che non aveva mai incontrato ma solo spiato, e capisce come è stato assassinato, ossia proprio con il suo veleno, le è subito chiaro che qualcuno la vuole incastrare.
Mara allora deve prendere una drastica decisione: rimanere trincerata in quel fortino che non è più per nulla sicuro e farsi arrestare, con tutte le conseguenze del caso, oppure darsi alla fuga, una possibilità che aveva comunque preventivato, perché era certa che prima o poi qualcuno l’avrebbe cercata e trovata per fargliela pagare. Lei d’altronde è la prima a ritenersi un pericolo ed è consapevole che moralmente e socialmente ciò che ha fatto ai suoi figli e al marito non è perdonabile. Mara è profondamente pentita, ma il suo è un senso di colpa solo razionale, e non vuole essere assolta. Non può assolversi.
Non sapendo da chi o da cosa stia scappando, ma consapevole che dovrà nascondersi e farsi aiutare per riuscire a mettere insieme i pezzi del puzzle che potrebbero portarla a scoprire chi sta tramando contro di lei, decide di rimettersi in contatto con Moira, Fiamma, Maria Grazia e Beatrice. Loro sono le quattro donne con le quali ha legato al Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Come Mara, ognuna ha una storia agghiacciante alle spalle, risultato di altrettanti profondi disturbi piscologici, che hanno tutti a che fare con il nostro modo di stare al mondo oggi. Due hanno anche ucciso con un colpo d’arma da fuoco, sparato a causa di un’esasperazione a cui nessun ha voluto dar peso finché il limite non è stato raggiunto e superato.
Saranno questa donne, che conosciamo un po’ alla volta, nelle loro turbe, nei loro devastanti malesseri che ancora le perseguitano, ma anche per ciò che di buono hanno dentro, a seguire Mara nella sua pericolosa ricerca della verità, destinata a causare una scia di cadaveri, la cui morte viene immancabilmente fatta ricadere su di lei. Non è però detto che tutte loro le saranno davvero utili, che tutte siano disposte a crederle fino alla fine, che qualcuna non le metterà i bastoni tra le ruote, che durante gli anni in struttura siano state davvero “recuperate”.
“La torre d’avorio”, per tutti gli appassionati del genere, ha il pregio di un ritmo serratissimo, dove i colpi di scena si rincorrono e si concatenano incastrandosi senza la minima sbavatura. Ma ciò che più colpisce del romanzo di Paola Barbato è la psicologia dei suoi personaggi, delle sue donne, la loro mente complessa che viene disvelata e ricostruita lungo tutta la narrazione, fino a mostrare delle figure, nel bene come nel male, nella loro umanità e nel loro disagio, molto diverse da come si percepiscono inizialmente. E alla fine, oltre al destabilizzante deus ex machina, il vero colpevole di una ingegnosa, terribile, malata macchinazione per annientare fisicamente e mentalmente “l’avvelenatrice di Sestri Levante”, ciò che resta impresso di questa storia sono le sue cinque protagoniste, Mariele, Moira, Fiamma, Maria Grazia e Beatrice, che in chiusura del libro l’autrice ringrazia: “Perché sono tutte una parte di me, e amandole amo un po’ di più anche me stessa”.
“La torre d’avorio” di Paola Barbato
29 Ottobre 2024, Neri Pozza
Pagine 416
Prezzo di copertina 20,00 euro