Intervista a Filippo Larganà con il suo esordio, “Romanzo delle tre righe”

Partendo da sei incipit di tre righe per dar vita a una pittoresca e multiforme carrellata di personaggi, con il suo esordio nella narrativa Filippo Larganà ci regala un romanzo spassoso e poetico, una di quelle storie tanto curiose e allettanti per la fantasia di chi legge che quando la si comincia non ci si ferma più.

Scritto da Carlotta Pistone
Larganà

Le prime righe di un romanzo possono non essere fondamentali, ma contano, parecchio, perché hanno il potere di convincere e influenzare chi si appresta alla lettura. Per questo, in genere, la creazione di un buon incipit, accattivante e trascinante, può rivelarsi un’ardua impresa per lo scrittore. Evidentemente, però, non è stato così per Filippo Larganà, che con un pizzico di follia letteraria e una considerevole dose di ingegno narrativo, per il suo “Romanzo delle tre righe” di incipit ne ha escogitati addirittura sei (non a caso ognuno di tre righe) e ha deciso di non rinunciare a nessuno di essi. Anzi, questi sei incipit, che introducono altrettanti protagonisti, non sono che l’anticamera di una carovana multiforme, bizzarra e pittoresca di personaggi (dai nomi strepitosi), fulcro della storia tanto nella loro singolarità quando nel finale comune a cui sono destinati. E a cui tutti loro, abitanti di un paese e di un tempo non precisati, vanno incontro in una torrida giornata di sole che per ciascuno si è aperta con un presagio di morte.

Con il suo esordio nella narrativa, il giornalista professionista canellese Filippo Larganà ci regala una storia “sopra le righe” spassosa e poetica, altisonante e sapiente, in cui nessuna parola, nessun dettaglio è lasciato al caso. Una di quelle storie tanto curiose e allettanti per la fantasia di chi legge, che quando la si comincia, fino alla fine, non ci si ferma più.

Una parentesi di scrittura ed enogastronomia sull’autore: suo e di Vittorio Ubertone è il blog saporidelpiemonte.net, dove si possono trovare interessantissime notizie relative al mondo del vino, del turismo, dell’agroalimentare e del territorio piemontese in generale.

Ecco l’intervista a Filippo Larganà:

  • Leggendo una storia tanto originale fin dalle prime pagine (se non dalle prime righe, anzi, già dal titolo), per quanto possa suonare banale, c’è una domanda che sorge spontanea: ma come sarà venuta in mente all’autore? Ed è appunto questo che ti chiedo, Filippo: come è nato nella tua testa e poi si è evoluto su carta “Romanzo delle tre righe”?

In realtà me lo domando spesso anche io come diavolo mi sia venuta l’idea di questo romanzo. Credo che tutto sia nato da questo titolo che mi girava per la testa. Come molti giornalisti sono affascinato e ossessionato dai titoli che sono la “bandiera rossa” che deve comunicare e soprattutto attirare l’attenzione e la curiosità del lettore. A me quel titolo intrigava molto e scrivere un incipit di tre righe ancora di più. Poi mi sono detto, un po’ alla Forrest Gump, “ma se ne ho scritto uno, ne possono scrivere un altro” e poi un terzo e un quarto. A sei mi sono fermato con un riferimento letterario ben preciso in testa: Luigi Pirandello, niente di meno. E poi è iniziato il ballo dei personaggi – nel “Romanzo delle tre righe” sono oltre quaranta – che hanno cominciato a raccontare le loro storie.

  • Ognuno dei tuoi tantissimi personaggi è fortemente caratterizzato, con tratti che arrivano al caricaturale. E ognuno è a proprio modo protagonista del tuo romanzo. Cosa hai voluto rappresentare – dell’uomo, dell’umanità, di noi – dando vita a questa carrellata caleidoscopica?

Molte cose. Come la vita ci sorprenda sempre, nonostante piani e sicurezze effimere di cui ci piace circondarci. Del fatto che spesso, non sempre per fortuna, viviamo vite che non ci appartengono o che non rispondono ai nostri sogni, aspirazioni o, semplicemente, bisogni. Come – perdonami se faccio un’altra citazione letteraria – nella vita si incontrino molte maschere, ma pochi, pochissimi volti. Insomma nel “Romanzo delle tre righe” c’è, credo forte, il richiamo a vivere la propria vita magari venendo il meno possibile a patti e lasciando un po’ da parte, quando necessario alla sopravvivenza personale e delle persone che amiamo, convenzioni, formalismi, rancori, egoismi. Sono convinto, nella mia ingenuità da ultrasessantenne, che il mondo potrebbe essere (ed è) un mondo migliore di quanto lo abbiamo costruito.

  • Restando sui tuoi personaggi, ma non potendo qui accennarli tutti, ti va di raccontarci i tre a cui sei narrativamente più legato, magari spendendo per ciascuno “tre righe”?

Difficile perché sono legato a tutti i personaggi. Facendo una selezione parto con Violeta Cleante Acabar. Lei è una donna forte che fa cose forti, vive passioni travolgenti, nel bene e nel male. Ha compiti precisi che alcuni considerano fondamentali nella comunità in cui vive. Ne sarà travolta, ovviamente, come tutti. Poi c’è Don Alfio Gaetano Calì, un prete, un parroco pentito, che voleva essere un uomo, e che, secondo me, riflette il travaglio di molti uomini di Chiesa. Non è un fatto nuovo, questo travaglio. Credo che appartengano a tutte le epoche i dubbi e le perplessità di chi ha scelto una vita difficile come quella di dedicarsi alla religione, e poi una religione così impegnativa come quella cattolica. Don Alfio, come tutti gli uomini, come tutti i preti, peccherà e, anche lui, pagherà per quel peccato. Al terzo posto metto due personaggi ex aequo: Ataúlfo Pio Mercier e Fermino Fermo Carrubba. Il primo è un uomo senza qualità (pardon, un’altra citazione letteraria!) reso duro e anaffettivo dalle vicende che gli accadono e che, tuttavia, non giustificano i suoi comportamenti. Fermino è un’anima pura, innocente, un candido che viene investito da un tsunami di sentimenti. Rotolerà all’infinito spinto da un amore proibito senza perdere la sua innocenza e soffrendo molto.

  • Decidendo di non dare precise coordinate spazio-temporali su dove e quando è collocata la tua storia, hai investito l’immaginazione altrui di grande fiducia. Dopo aver ascoltato i frutti della fantasia dei tuoi lettori, ci sono un dove e un quando in particolare verso cui pensi di averli condotti?

Non volevo dare punti di ancoraggio temporali o geografici alla mia storia. Questo ha permesso al lettore di fornirli. Un “gioco” che mi appassiona molto. Alcuni ambientano “Romanzo delle tre righe” nel Sud del Mondo, in Sicilia o in Sardegna, in Spagna o nel Sud America, d’altronde nella storia è citato, sia pure senza nome, Gabriel Garcia Marquez, uno dei mia autori preferiti. Però ci sono paesi delle Langhe e del Monferrato, o anche del Centro Italia o del Nord Est, che potrebbero essere benissimo la location del romanzo. Vero che nella storia sono indicati un Continente e un oceano, ma, appunto, tutto è scritto per disorientare il lettore. Perdonatemi, se potete.

larganà

Filippo Larganà

  • Quali sono i tuoi riferimenti letterari e quali possiamo ritrovare nel tuo romanzo?

Ne ho già citati due: Pirandello e “Gabo” Marquez, ma nella storia che ho scritto c’è molto anche della linee di scrittura di Andrea Camilleri, di Giuseppe Berto, di Tomasi di Lampedusa, di Federico De Roberto, ma anche qualcosa di Cesare Pavese, Beppe Fenoglio e perfino di alcuni scrittori di fantascienza, come Isaac Asimov, Arthur C. Clark Philip José Farmer.

In quanto giornalista professionista, la scrittura è da sempre il tuo mondo. Con l’uscita, o già con l’idea di questo tuo esordio nella narrativa, è cambiato in qualche modo il rapporto tra te e la parole scritta?

No, nulla è cambiato nel mio rapporto con la scrittura se non il fine. Quando scrivo per lavoro comunico attualità, la vita dell’oggi. Quando scrivo di fantasia – e “Romanzo delle tre righe” è un’opera di totale fantasia, con qualche innesto a personaggi che ho realmente conosciuto, e libera ispirazione a fatti accaduti – ho potere di vita e di morte, letteralmente, sui personaggi e sulla storia anche se, lo ammetto, nonostante possa sembrare non credibile, a volte sono io stesso sorpreso di quello che la mia fantasia mi ha fatto scrivere. È una bella sensazione, almeno per me e, spero, anche per chi mi legge.

  • Hai qualche consiglio da dare a chi è alle prese con la stesura del proprio primo manoscritto?

Non me la sento di dare consigli. Posso solo suggerire di cercare di scrivere liberando la propria creatività, lasciandosi trascinare dalla vena creativa. Bisogna, però, avere qualcosa da dire e saperlo fare. Sennò è meglio farsi un caffè e, magari, leggersi un buon libro, magari degli autori che ho citato o, se si ama il rischio, anche il mio.

  • Infine, stai lavorando su qualche altro progetto letterario?

C’è una “storia” che mi sta guardando di traverso. Spiego: ora sono impegnato nelle presentazioni del “Romanzo delle tre righe”, soprattutto nella zona dove abito, l’Astigiano – il 12 febbraio sarò a Bubbio, paese a pochi chilometri da Monastero Bormida dove nacque lo scrittore Augusto Monti, e il 19 febbraio a Castiglione Tinella, nella Langa cuneese, una delle patrie di un vino a me carissimo, il Moscato d’Asti, e poi altre presentazioni sono in via di definizione tra Asti e alessandrino – e per questo ho accantonato un racconto – non so ancora se sarà un romanzo – a cui stavo lavorando. Perciò questa storia mi guarda un po’ con il broncio. È una vicenda questa volta ambientata in epoca e luogo definiti, che parte da un omicidio efferato per dipanarsi in un sorta di racconto epistolare. Non possono dire di più perché i personaggi devono ancora dirmi come prosegue il racconto.

“Romanzo delle tre righe” di Filippo Larganà
22 Agosto 2022
Pagine 189
Prezzo di copertina 18,72 euro
Per acquistarlo su Amazon clicca QUI

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Raccontami di libri (@raccontamidilibri)

Leggi anche

Lascia un commento

* Ho letto e accettato la Privacy Policy