Quante volte vi è capitato, prima di iniziare a scrivere un romanzo, di avere avere già in mente la storia perfetta? La trama, i protagonisti, le ambientazioni, persino i dialoghi! Eppure, quando la storia comincia a prendere forma, partono anche scivoloni, inciampi, incartamenti tra virgole, punti interrogativi ed esclamativi, puntini di sospensione, trattino medio spaziato, registri, ecc. Per non parlare delle ‘regole’ diverse fra case editrici. Il rischio è quello di addentrarsi in un vero e proprio campo minato.
La verità è che, per presentare una narrazione efficace e naturale, serve una strategia.
Scrivere un buon dialogo non equivale a riprodurre il discorso della vita reale
Questo perché nella vita reale a volte parliamo senza dire nulla, ad esempio usando espressioni poco interessanti come “Ciao! Come stai?”. Insomma, non parliamo il linguaggio della ‘finzione’. In un romanzo, invece, il dialogo fondamentalmente serve a far proseguire la trama. Tradotto: si usa per l’esposizione, per iniziare un problema, per risolverne uno, o per far muovere il protagonista nell’arco temporale.
La prima regola da capire è che scrivere un buon dialogo significa far avanzare la storia.
E quindi? Che significa? Che non dovremmo trarre ispirazione dalla realtà? L’ispirazione ci vuole, ma va poi trattata nel modo corretto.
Scrivere un dialogo è suggerire il reale
“Tu sei un Mago, Harry! Un mago coi fiocchi!”.
La seconda cosa da capire quando scrivi un dialogo è che il modo in cui i tuoi personaggi parlano la dice lunga sul loro background sociale, sul loro modo di pensare, oppure sulla loro provenienza.
Ad esempio, un personaggio con un un forte accento potrebbe rimandare a una persona di una certa e ben determinata estrazione sociale, ma anche a un bel misterioso straniero (magari a un raffinato Mr Darcy di Jane Austen).
Il dialogo può anche rivelare lo stato emotivo di un personaggio. Secondo lo sceneggiatore Robert Mckee (Dialoghi. L’arte di far parlare i personaggi nei film, in TV, nei romanzi, a teatro, ed. 2017), più lungo e costruito è il linguaggio, più razionale sarà il personaggio. Al contrario, quando un personaggio lascia la sfera della razionalità per dar spazio a quella emotiva, tenderà a usare termini e frasi più brevi, con costruzioni più semplici.
Come creare una buona esposizione attraverso i dialoghi? Guardandoci attorno (nella vita, nei libri, nei film, ecc.) e notando i piccoli dettagli capaci di influenzare la percezione che abbiamo degli altri.
Ad esempio: se una persona esclama in un bar “Amico! Erano in due! Faceva mooolto caldo!”, probabilmente visualizzeremo un personaggio piuttosto giovane, donnaiolo, magari con un carattere un po’ spavaldo, ma non di certo un uomo distinto, di cultura, dai bei lineamenti e dal portamento signorile.
In breve, è bene trarre ispirazione dalla vita reale, ma solo nell’ottica di sviluppare una narrazione.
Scrivere un dialogo su tre livelli
Secondo lo sceneggiatore Robert Mckee, ci sono tre livelli di scrittura di un dialogo: ciò che è detto, il non detto e l’inconscio.
Concretamente, questo significa che il personaggio che parla ha una strategia. Vuole raggiungere un obiettivo. Per questo, dice qualcosa (ciò che viene detto), nel profondo pensa ad altro (il non detto: la sua strategia consapevole), mentre inconsapevolmente il suo linguaggio può rivelare anche un bisogno inconscio (bisogno di sicurezza, amore, ecc.).
Ad esempio, un dialogo semplice come “Passami il sale” può rivelare molto se viene contestualizzato. Al primo livello possiamo capire che il personaggio chiede il sale perché gli piace il cibo salato. Al secondo livello questo può implicare un rimprovero (“cucini male”) o un desiderio di prevaricare (uso dell’imperativo). Infine, inconsciamente, può riflettere il bisogno di scissione dal protagonista.
Insomma, per scrivere un dialogo è importante evitare di dire certe cose apertamente. Al contrario, sarebbe meglio suggerire al lettore informazioni che rientrano nel sottotesto (il non detto). Più un personaggio usa ‘il non detto’, più sarà uno “stratega”. Più si esprime al primo livello, più emotivo sarà.
Quindi, come scrivere un dialogo efficace?
1) Pulisci il dialogo dalle “scorie” del linguaggio parlato
Nella vita di tutti i giorni, spesso iniziamo le nostre frasi con “Ascolta”, “Qui”, “Capisci cosa intendo”, o ancora le riempiamo con “OK” e “Cioè”, per esempio. Queste sono scorie del linguaggio.
In un romanzo è probabile che appesantiscano i dialoghi e infastidiscano molto rapidamente il lettore. Ha senso usarli solo se rispecchiano il carattere di un personaggio. Altrimenti, meglio evitarli del tutto.
In ogni caso, qualunque sia il dialogo che si decide di scrivere, bisogna sempre avere cura di mantenere l’interesse del lettore ed evitare che si perda, scrivendo ad esempio un discorso troppo lungo. A volte un lungo discorso può comunque essere è utile, ma tradurlo in un lungo dialogo non funziona.
2) Attenzione alla punteggiatura
Sulla punteggiatura esistono pareri discordanti e ci possono essere tante variabili. Ad esempio, nel selfpublishing va fatta una scelta e mantenuta in ogni pubblicazione. Se ci si affida a una casa editrice dipenderà dalle norme editoriali adottate. Come va gestita quindi la punteggiatura nei dialoghi? Cosa sono i trattini e qual è il trattino giusto da usare? Dove si trovano le virgolette caporali? Come si fa a inserirle nel testo?
Il consiglio è: imposta una linea e fai una scelta sulla base della struttura narrativa.
Per spiegarci, si può scrivere:
«Il pranzo è pronto», disse Marco.
«Il pranzo è pronto» disse Marco.
Entrambi sono corretti, ma il ‘suono’ è differente.
3) Scrivi un dialogo solo se è veramente utile
Infine, non dimenticare mai che ogni dialogo deve avere una funzione, una finalità, e deve essere contestualizzato.
Il suo scopo sarà quindi quello di:
– dare informazioni;
– indicare ciò che i personaggi hanno pianificato di fare;
– consentire ai lettori di risolvere un enigma;
– mostrare relazioni e connessioni tra i personaggi;
– esprimere emozioni e sentimenti;
– “rilassare” il lettore inserendo scambi e battute umoristiche, un momento di azione integrato alla narrazione (ad es. un suono di voci dietro la porta della stanza dove il protagonista racconta la sua storia; una folata di vento che fa sbattere una porta; una canzone trasmessa dall’autoradio);
– o, al contrario, accentuare l’intensità drammatica con l’aggiunta di elementi di tensione tra i personaggi, oppure lasciando che l’eroe esprima i propri sentimenti: il suo dolore, la sua paura, la sua frustrazione.
Dialogo da evitare:
– Vieni a mangiare? chiese Mattia.
– “Sì”, rispose Anna.
Messo così, questo dialogo non ha alcuna finalità (oltre a essere sbagliato nella forma). Tanto vale scrivere semplicemente: Mattia e Anna sono usciti per pranzo a mezzogiorno. Oppure: Mattia e Anna si sono accordati per cenare insieme.
Ricordate: per scrivere dialoghi efficaci non basta impostare una mera sequenza di battute. Ogni dialogo deve presentare un’amalgama di narrazione e battute per risultare utile e naturale.
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1 comment
Detta cosi, sembrerebbe dunque che per scrivere un dialogo efficace basti trascrivere un dialogo registrato dal vero. Cosa ci sarebbe di piu vero di un dialogo davvero avvenuto tra due persone, trascritto pari pari cosi come e avvenuto?