Arnaldo Pavesi ci racconta il suo esordio letterario: “13 gocce di cera rossa”

Scritto da Carlotta Pistone
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Con il suo romanzo d’esordio, Arnaldo Pavesi ci porta in una Venezia dal fascino contemporaneo ma intrisa di arte antica. A seguire le tracce dei responsabili di una truffa milionaria ai danni di una aristocratica famiglia della Serenissima, l’antiquario Ludovico Boringhieri.

Ludovico Boringhieri è uno stimato antiquario milanese. Uomo colto, affascinante e sagace, si capisce subito che ama il suo lavoro e – appena gli è possibile – godersi la vita. È anche dotato di grande intuito investigativo, forse grazie all’esercizio della sua professione, che richiede un’attenzione non comune ai dettagli. O forse è un detective nato. Fatto sta che, quando viene chiamato dai figli dell’appena defunto Conte Bergamin a valutare le immense ricchezze d’arte classica custodite nel palazzo di famiglia a Venezia, Boringhieri ci mette poco a capire che qualcosa non torna. Ben prima di rendersi conto che all’appello manca un Canaletto (e suoi ‘simili’)…

Con “13 gocce di cera rossa” (il Ciliegio Edizioni) Arnaldo Pavesi, antiquario da generazioni, ha dato vita a un thriller appassionante fatto di intrighi economici, congiure ‘a palazzo’ e continui colpi di scena, che tengono il lettore con il fiato sospeso fino all’ultima pagina. Lettore che, grazie alla cura e dimestichezza usata dall’autore nel descrivere i dettagli delle preziosissime collezioni che Boringhieri si trova a scoprire e catalogare, ha la sensazione anche lui, al fianco dell’antiquario, di addentrarsi estasiato nelle sale della storica dimora dei Bergamin.

Ma soprattutto, Pavesi,  ha creato un protagonista ben riuscito e assolutamente non scontato

E ora lasciamo la parola all’autore di “13 gocce di cera rossa”:

  • Caro Arnaldo, la scrittura è un’arte e tu di arte – quella con la ‘A’ maiuscola, antica ma non solo – ne sai parecchio. Grazie al tuo lavoro, ovvio, che immagino sia frutto di profonda passione e grande dedizione, due prerogative imprescindibili anche per chi scrive. Quindi, da antiquario a scrittore di narrativa… come e quando hai deciso di dedicarti a questa altra ‘arte’ e al tuo primo romanzo?

Sono da tanti anni un dirigente della Federazione Nazionale dei Mercanti d’Arte. In tale veste ho voluto offrire un contributo per trasmettere un’immagine positiva della categoria e correggere le distorsioni dovute alla superficialità di certe cronache giornalistiche che hanno messo spesso allo stesso livello intrallazzatori e ricettatori al pari di operatori onesti. Sta di fatto che anche gli autori hanno tenuto conto di questo trend. Dopo una verifica accurata ho constatato che nella narrativa corrente la rappresentazione più frequente dell’antiquario coincide con la vittima predestinata di loschi trafficanti o di bande criminali, oppure è descritto come un imbroglione dedito ad approfittarsi degli ingenui. In queste storie dalle atmosfere fosche e malinconiche, gli antiquari sono spesso solo comparse, per lo più vittime eliminate già nelle prime pagine e derubati dei loro tesori. E allora mi sono chiesto: perché le storie dove l’antiquario agisce da protagonista positivo sono così rare? Forse perché nell’immaginario collettivo gli oggetti che commercia, passati di mano in mano per generazioni, assorbirebbero un’aura esoterica che andrebbe a permeare di mistero il suo profilo, a volte contaminandolo fino a identificarlo con quello di Dorian Gray?

  • Non è difficile intuire, soprattutto in merito alla professione, che il tuo protagonista incarni molti tratti che ti sono propri. Ma Ludovico Boringhieri, pagina dopo pagina, si rivela ben più di un eccellente antiquario. È stato stimolante (e divertente) creare un personaggio che rappresenta una sorta di tuo alter-ego?

Lo spunto iniziale mi è stato dato dalla lettura della biografia di Joseph Duveen, un antiquario, anzi il ‘re’ degli antiquari, vissuto nell’epoca d’oro tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento. Ha legato a sé i più grandi nomi dell’imprenditoria di allora, operando al di qua e al di là dell’Atlantico. Soleva dire: “In Europa c’è l’arte, in America i soldi”. E quando qualche cliente si lamentava della cifra richiesta per un capolavoro di un maestro rinascimentale, rintuzzava il malcapitato così: “Quando si paga caro ciò che non ha prezzo, lo si è preso comunque a buon mercato.” A lui si deve la formazione delle grandi collezioni da parte dei più importanti imprenditori del suo tempo come: J.P. Morgan, Henry Frick, John Rockefeller, Samuel Kress, Andrew Mellon,  il fondatore della National Gallery e di tanti altri. Poi ovviamente ci ho messo del mio ed è stato un processo lento con ripensamenti e correzioni ricorrenti. Capita che involontariamente tra le righe si innestino frammenti dell’indole dell’autore, che si descrivano insofferenze e antipatie per ciò che si detesta o apprezzamenti e simpatie per ciò che si predilige. Al protagonista si trasmettono i modi di dire, le manie, le proprie esperienze magari un po’ rivalutate rispetto alla realtà, e alla fine ne esce una sorta di avatar. Poi, a stesura già avanzata, mi sono reso conto che a fianco del protagonista era necessaria la presenza di un collaboratore, un amico e confidente.

  • E infatti Boringhieri ha un compagno di avventura mica da ridere – tra l’altro simpaticissimo -, che è un po’ il suo opposto…

Nei thriller è quasi una regola, per dare seguito ai pensieri, che nel confronto diventano scambi di vedute, discussioni e a volte infuocati contrasti. Nasce così Jacopo Bernardi, è l’altra faccia della medaglia: tanto il primo è borghese e conservatore quanto il secondo è anticonformista e anarchico; tanto uno è impulsivo e precipitoso quanto l’altro è razionale e metodico. Insieme scovano indizi e stabiliscono strategie per giungere alla soluzione dell’indagine così come accade ad altri illustri e inarrivabili antesignani: Poirot e Hastings di Agatha Christie, Nero Wolf e Archie Goodwin di Rex Stout,  Sherlock Holmes e il dottor Watson di Arthur Conan Doyle.

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Arnaldo Pavesi – Foto © Monica Silva Photography

  • In “13 gocce di cera rossa” – come già accennato – oltre a respirare il fascino dell’arte antica, ci si trova immersi anche nel mistero del thriller. Unire il tutto, non deve essere stato compito da poco… Quanto tempo hai impiegato per scrivere il libro? E hai avuto difficoltà (magari qualche intoppo) nel riuscire a destreggiarti abilmente tra i tanti personaggi e la rete di intrighi (non solo ‘veneziani’) di cui è intessuta la trama del romanzo?

L’ho scritto nel tempo libero e non sempre con continuità, e questo ha determinato la difficoltà di dover rileggere tutte le volte il testo da capo, per ricucire esattamente la tempistica e le varie situazioni aggiunte successivamente. Poi il resto è venuto da sé, saldando insieme esperienze vissute e personaggi originali incontrati, amalgamando il tutto grazie a una predisposizione a raccontare favole di mostri in ambientazioni terrificanti, collaudata con i miei figli da piccoli. Ne avevano paura, ma il lieto fine era scontato e l’eccitazione provocata da qualche brivido li divertiva.

  • Come mai hai deciso di ambientare “13 gocce di cera rossa” proprio a Venezia?

L’unico punto fermo imprescindibile fin dall’inizio è stato quello di ambientare tutt’e tre i romanzi in borghi o città d’arte. E quale città rappresenta di più e meglio l’eldorado per un antiquario se non Venezia?  La Serenissima è stata la porta di transito con l’Europa di tutte le merci più preziose provenienti dall’oriente: le spezie dall’India, i tappeti da Persia, Anatolia e Caucaso, le porcellane, la seta e le giade dalla Cina, l’avorio dall’Egitto. Le sue flotte mercantili hanno determinato un traffico di merci pregiate e richiestissime che in patria si tramutavano in un flusso inesauribile di denaro che è stato speso anche per arricchire la città di innumerevoli opere d’arte e molte di esse sono transitate nei negozi degli antiquari.

  • Dal momento che già è nota l’esistenza di un seguito, anzi, di una trilogia… ci puoi anticipare qualche indiscrezione sui prossimi due thriller con protagonista l’antiquario Ludovico Boringhieri? In quali città ci porterai?

Il secondo romanzo è ambientato a Cortona un antico borgo che conosco molto bene per esserci stato a più riprese durante le mostre di antiquariato che vi si organizzano. Del resto “13 gocce di cera rossa” termina con una telefonata da parte di una badessa di un monastero appena fuori Cortona che richiede l’intervento professionale di Boringhieri per stabilire il valore del tesoro del suo cenobio, un modo per dare una continuità al racconto. Anche il secondo è un thriller, che s’intreccia con eventi drammatici accaduti in epoca medievale. È stata una stesura più impegnativa per la quale ho dovuto affrontare lo studio di quel periodo storico approfondendo diversi ambiti. E anche in questo romanzo Boringhieri e Jacopo apprezzano la cucina locale costituita dai piatti tipici dove la fiorentina chianina occupa il primo posto. Il terzo si svolge a Firenze e inizia con un’asta mortale. Ma non aggiungo altro perché è ancora alla prima stesura.

  • “13 gocce di cera rossa” ha anche una sua colonna sonora, che rispecchia i gusti musicali del protagonista. Spesso e volentieri si citano poi specialità culinarie veneziane, ma non solo. Qual è il tuo rapporto con musica e cucina?

Ho predisposto sia in casa che in galleria impianti HIFI che funzionano a regime con una dotazione di migliaia di LP originali e CD. Ho collezionato per anni decine di chitarre elettrice custom shop, una malattia compulsiva che mi ha portato ad acquistarle dal Giappone all’America dove per anni sono andato in visita al NAMM Show, la fiera mondiale dell’industria musicale. In conclusione, la musica è sempre stata una presenza costante che mi ha accompagnato anche nella stesura di qualche contrappunto nel romanzo. L’apprezzamento per odori e sapori, poi, è cultura anche quella. E la ricerca del ristorante che li propone nel modo migliore fa parte del divertimento, magari muovendosi in moto in un gruppo consolidato di amici storici.

  • Infine, visto che “13 gocce di cera rossa” è il tuo esordio nella narrativa italiana, hai qualche consiglio da dare agli autori emergenti che vorrebbero o stanno per pubblicare il loro primo romanzo?

Che sappiano che si fatica di più a presentarlo che a scriverlo. L’ho scoperto a mie spese.

“13 gocce di cera rossa” di Arnaldo Pavesi
23 ottobre 2021, il Ciliegio Edizioni
Pagine 384
Prezzo di copertina 18,00 euro

Ufficio Stampa curato da Cinzia Maria Orsini CreaconCultura
ufficiostampa@creaconcultura.it

 

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